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Coronavirus: le mascherine per la collettività  – Cosa fanno e come usarle

Maschere filtranti per l’emergenza Covid-19, deroghe introdotte dal Decreto Cura Italia, etichetta e istruzioni di impiego

1. Le maschere filtranti per la collettività nel Decreto “Cura Italia”

Il Ministero della Salute e le autorità sanitarie hanno definito una serie di linee-guida per evitare, o contenere, il contagio da Covid-19, raccomandando di seguire buone pratiche di igiene personale, favorire il c.d. ‘distanziamento sociale’ e adottare misure di prevenzione per mantenere gli ambienti di vita e di lavoro salubri.

A tal fine il regolatore pubblico ha adottato anche misure eccezionali; e tra queste sono comprese le disposizioni speciali contenute agli articoli 15 e 16 del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18, c.d. Decreto “Cura Italia”.

In particolare:

  • è stata prevista la possibilità di produrre, importare e immettere in commercio “mascherine chirurgiche” ad uso medico e dispositivi di protezione individuale (“DPI”) in deroga alle norme vigenti, ossia alle normative europee e nazionali che, di norma, richiedono l’apposizione su tali dispositivi della c.d. marcatura CE (articolo 15);
  • è stata introdotta una categoria speciale di presidi – le “maschere filtranti” destinate alla sola collettività – che, apparentemente, sembrano prive di alcuna regolamentazione (articolo 16, secondo comma).

L’articolo 15 del Decreto “Cura Italia”, infatti, consente di derogare dalla normativa ordinaria solo a condizioni di attivare una procedura semplificata di validazione straordinaria; per cui il soggetto proponente deve autocertificare il rispetto di una serie di requisiti di sicurezza del prodotto e ottenere il parere favorevole dell’Istituto Superiore di Sanità (“ISS”) per le “mascherine chirurgiche” o dell’INAIL per i DPI in deroga.

Le mascherine per la collettività di cui al secondo comma dell’articolo 16, invece, sono un “terzo tipo” di presidio; e, come chiarito dalla circolare del Ministero della Salute n. 0003572-P del 18 marzo 2020 (la Circolare n. 3572/2020), possono essere utilizzate da parte di “tutti gli individui presenti sul territorio nazionale”, benché “prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio”.

 2. Le deroghe introdotte dal Decreto ‘Cura Italia’

Le mascherine per la collettività, come anche precisato dalla Circolare 3572/2020:

  • non sono soggette, dal punto di vista regolamentare, neppure alle procedure semplificate di valutazione e validazione straordinaria richieste dall’articolo 15 per le “mascherine chirurgiche” e i DPI senza marcatura CE; e, soprattutto,
  • non devono essere conformi a particolari norme tecniche armonizzate UNI EN – ISO.

Quest’ultimo profilo le rende nettamente distinte dalle “mascherine chirurgiche” prodotte ai sensi dell’articolo 15, Decreto “Cura Italia”.

Sebbene siano anch’esse prive di marcatura CE e apparentemente simili nella struttura, le “mascherine chirurgiche” devono superare prove tecniche e test di laboratorio per dimostrare la conformità alle norme tecniche UNI EN 14683:2019+AC e UNI EN 10993-1:2009.

Inoltre, il produttore di mascherine per la collettività non deve aver implementato un sistema di gestione della qualità, come richiesto invece a chi voglia realizzare “mascherine chirurgiche” (e, a maggior ragione, DPI).

Si tratta di deroghe molto ampie, a carattere eccezionale, giustificate dalla natura straordinaria dell’emergenza sanitaria e dalla urgente domanda sul mercato dei presidi di protezione, di molto superiore al trend ordinario.

 3. Anche le maschere per la collettività hanno le loro regole

A bene vedere, però, anche questo “terzo tipo” di mascherine devono soddisfare alcuni requisiti.

Anzitutto, alcuni limiti discendono dalla loro stessa natura:

  • non essendo “mascherine chirurgiche” ai sensi dell’articolo 15 del Decreto “Cura Italia”, le mascherine per la collettività non possono essere utilizzate durante il servizio da operatori sanitari in ambiente medico o assistenziale (ospedali, guardie mediche, RSA);
  • del pari, non essendo DPI, non possono essere utilizzate in ambienti di lavoro dove sia prescritto l’impiego di DPI.

Si tratta, quindi, di presidi con finalità precauzionale, limitati alla generica collettività; per cui, negli altri ambienti di lavoro e luoghi (anche pubblici) in cui ne sia consentito o richiesto l’impiego, deve essere rispettata la distanza di sicurezza interpersonale – che, come raccomandato dalle autorità sanitarie e dai provvedimenti regionali, deve essere di almeno 1 (un) metro –, salve le ulteriori misure di igiene e prevenzione raccomandate dalle autorità sanitarie.

Nulla vieta, tuttavia, di condurre test di tenuta e di efficacia filtrante: anche la Circolare 3572/2020 prescrive ai produttori la “assoluta necessità” di garantire che tali mascherine “non arrechino danni o determinino rischi aggiuntivi per gli utilizzatori secondo la destinazione d’uso”. Del resto, l’articolo 16 le definisce come “maschere filtranti”: è ragionevole, quindi, che debbano essere costruite, per lo meno, con strati di tessuto filtrante come polipropilene, TNT o cotone con trattamento antidroplet.

In tal senso, pur in assenza di indicazioni specifiche, in via facoltativa possono essere osservate le procedure e le indicazioni tecniche della norma UNI EN 14683:2009+AC, di cui andrebbero considerati, in particolare, i requisiti di cui ai punti 5.1.1 (Materiali e costruzione), 5.2.1 (Generalità), 5.2.2. (Efficienza di filtrazione batterica – BFE), 5.2.3 (Respirabilità) della stessa; e, per una maggiore qualità e sicurezza del prodotto, anche i requisiti dei punti 5.2.4 (Resistenza agli spruzzi), 5.2.5 (Pulizia microbica-Bioburden) e 5.2.6 (Biocompatibilità).

Resta fermo che i test tecnici non sono obbligatori: dunque, in ogni caso tali maschere possono essere destinate alla collettività, purché il tessuto utilizzato soddisfi requisiti minimi di sicurezza, in termini di sufficiente traspirabilità e idrorepellenza.

Infine, il sistema di produzione e utilizzo di tali presidi incontra un limite temporale: esso vale solo per la durata dell’emergenza Covid-19, ossia fino al 31 luglio 2020; dopodiché, tornerà in vigore l’ite normativo e procedurale ordinario previsto per dispositivi medici e DPI con marcatura CE.

 4. Etichetta e istruzioni di impiego

E’ inoltre fondamentale fornire agli utenti finali una corretta informazione circa la natura e le modalità di impiego delle mascherine per la collettività.

Quindi, si raccomanda che l’imballaggio della mascherina (singolo e/o multiplo) riporti – o contenga una scheda tecnica recante – almeno le seguenti indicazioni:

  • ragione sociale e indirizzo del produttore;
  • riferimento al lotto e data di produzione;
  • la dicitura “Mascherina filtrante ad uso esclusivo della collettività. Non è un dispositivo medico, non è un DPI. Escluso l’uso sanitario o in ambienti di lavoro senza il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale”;
  • la precisazione “a uso singolo” o “riutilizzabile”, indicando con quale frequenza e modalità;
  • le istruzioni di impiego e di corretto smaltimento.

Può essere utile, inoltre, che il produttore renda noti gli eventuali test condotti (precisando le norme tecniche applicate) e specifichi, ove disponibile, il sistema di gestione della qualità implementato; questo anche per evidenziare gli standard di (maggior) sicurezza e qualità del prodotto.

In generale, qualsiasi impresa, anche se di recente “riconvertita”, nella misura in cui si presenta come “produttore”, è responsabile per le informazioni veicolate in merito all’impiego corretto e alla sicurezza del prodotto. Diversamente, si potrebbe ingenerare negli utenti un affidamento sproporzionato rispetto alla effettiva capacità protettiva e alla destinazione d’uso del presidio; il che è tanto più grave a fronte dei seri rischi che possano derivare per la salute individuale e collettiva.

 

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